Mon Crime - La colpevole sono io

François Ozon
Francia
Orari di programmazione:
sabato 13 maggio ore 19;
domenica 14 maggio ore 17
Parigi, 1935. Madeleine Verdier, aspirante attrice convocata da un celebre produttore per un ruolo e poi aggredita, è accusata a torto del suo omicidio. Con la complicità di Pauline Mauléon, avvocato senza clienti che si incarica della sua difesa, si assume il crimine e accede alla gloria denunciando la misoginia della società e l'incompetenza della giustizia. Il tribunale diventa 'teatro' della sua performance. L'ingiustizia subita commuove l'opinione pubblica, il successo è immediato. Per Madeleine comincia una nuova vita, gli ingaggi piovono coi fiori e le proposte di matrimonio ma la vera colpevole bussa alla porta e reclama la sua parte...
con Nadia Tereszkiewicz, Rebecca Marder, Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, Dany Boon
8€; 7€ ridotto (6.50€ per Amici, Più che Amici, Sostenitori)
Procedendo al ritmo di un film all'anno, François Ozon non smette di girare e di concimare i generi. [...] Dopo aver 'cantato' la misoginia negli anni Cinquanta, con un vaudeville smisurato e barocco (8 donne e un mistero), dopo aver dato una lezione di femminismo sullo sfondo degli anni Settanta (Potiche), con una commedia ludica dai colori vintage, ribadisce la gioia insurrezionale di 'eliminare' la figura maschile abusante, o caricaturalmente maschile e arrogante, che nutre il suo cinema dagli esordi (Sitcom).
Comme d'habitude, Ozon va oltre il testo che lo ispira. Mentre le nostre eroine 'prendono la parola' (e la pistola), il film allude a una possibile deriva del potere femminile. Se in Potiche era l'avvento della 'supermamma', in Mon Crime è la possibilità di raggiungere un fine personale. Il femminismo ostentato non manca di ambiguità, l'emancipazione e la scalata sociale delle protagoniste passano di fatto per le bugie e la manipolazione. Perfidia intrigante di un film che dietro il divertissement e i virtuosismi verbali si rivela più sovversivo di quanto le sue 'buone maniere' lascino intendere.
Recensione di Marzia Gandolfi