Timbuktu

Data:
03/09/2025
Orario:
14:00

Regia: Abderrahmane Sissako (Francia-Mauritania, 2014) 97’

Scuola secondaria di secondo grado

Non lontano da Timbuktu, ora governata dai fondamentalisti islamici, Kidane vive pacificamente tra le dune con la moglie Satima, la figlia Toya e il pastore 12enne Issan. In città, la gente soffre impotente per il regime di terrore imposto dai jihadisti, determinati a controllare la loro fede. Tutto è stato bandito: la musica, le risate, le sigarette, persino il gioco del calcio; le donne sono diventate le ombre, ma continuano a resistere con dignità. Ogni giorno, nei nuovi, improvvisati tribunali vengono emesse tragiche e assurde sentenze. A Kidane e alla sua famiglia tutto questo finora è stato risparmiato, ma il loro destino cambia quando lui uccide accidentalmente Amadou, il pescatore che ha macellato "GPS", la sua amata mucca. Kidane, infatti, dovrà vedersela con le nuove leggi degli occupanti stranieri.
Niente scenari esotici da anni Cinquanta, qui non c'è John Wayne a caccia di tesori nel Sahara, diretto dal grande Henry Hathaway. Timbuktu è un film in cui Abderrahmane Sissako ferma il tempo su un'Africa che fa i conti con la piaga dell'integralismo islamico, portato a popolazioni che vivrebbero serenamente nelle loro terre da milizie jihadiste che non parlano nemmeno la loro stessa lingua. Sissako descrive una quotidianità placida, lenta, sensibile, adagiata su un piccolo coro di personaggi che vive ai margini di una Timbuktu ormai in mano agli estremisti religiosi. Kidane, un allevatore, vive con la moglie e la figlioletta in una tenda nel deserto, per sottrarsi ai dettami dei miliziani che pattugliano il villaggio: non si può suonare, non si può fumare, i bambini non possono giocare a palla, le donne devono coprirsi anche mani e piedi. Eppure qualcuno di notte suona nel chiuso di una casa, altri fumano, qualche donna si ribella ai guanti. Poi il dramma esplode: Kidane paga la sua vendetta su un pescatore che ha ucciso una sua vacca, mentre due giovani innamorati subiscono la lapidazione e chi ha suonato viene fustigato... Sissako è tanto dolce nel descrivere la placida r/esistenza della popolazione, quanto crudele (ma senza rabbia, con attonito stupore) nel raccontare l'abbattersi della violenza di chi predica l'intransigenza della malintesa religione. Il ritmo resta blando, l'ironia esaspera la pazienza come fossimo in un film di Elia Suleiman (che infatti figura tra i ringraziamenti), la macchina da presa scorre sui corpi adagiati in cerca di pace, mentre l'ottusa presenza dei jihadisti trascorre come un assurdo fuori luogo nella ritmica esistenziale pacificata dei personaggi. Il finale ha una potenza rosselliniana da Roma città aperta, ma non è questione di realismo, in questo film nutrito di un tempo interiore che vorrebbe negare la rabbia della storia, ma capitola di fronte agli eventi. Sissako dice di essersi fatto ispirare dal video di una lapidazione avvenuta in un villaggio del Mali visto suYoutube. Considerando gli ultimi risvolti dell'avanzata jihadista in Iraq va detto che il film, nella sua purezza poetica, è destinato a restare di chiara attualità.
Massimo Causo, Cineforum n. 535, 6/2014