Smetto quando voglio
Regia: Sydney Sibilia (Italia, 2013) 100’
Scuola secondaria di secondo grado
Pietro Zinni, geniale ricercatore in Neurobiologia di 37 anni, viene licenziato a causa dei tagli all’università e deve improvvisamente trovare un modo per sopravvivere. Ma cosa può fare uno che nella vita ha sempre e solo studiato? Semplice: organizzare una banda criminale coi fiocchi. Pietro inizia così a reclutare i migliori tra i suoi ex colleghi, grandi cervelli che ormai vivono ai margini della società facendo i mestieri più disparati. Le loro competenze – Semiotica interpretativa e Epigrafia Latina, Archeologia Classica, Macroeconomia Dinamica, Chimica Computazionale, Antropologia culturale – si riveleranno incredibilmente perfette per il successo nel mondo della malavita. Ma riusciranno a gestire la loro nuova vita di criminali ricercati?
Attenzione arriva finalmente sugli schermi la vera commedia sulla crisi di questo scorcio di millennio. Non stiamo sminuendo né Posti in piedi in Paradiso di Verdone (che in fondo è una commedia di caratteri) né Gli equilibristi di Ivano De Matteo (che in fondo non è una commedia). Semplicemente, Smetto quando voglio ha una marcia in più. Perché parla dei trentenni, generazione abbastanza snobbata dal nostro cinema. Perché castigat ridendo mores, usa la risata anche fragorosa per parlare di una piaga sociale come la fuga, o l’umiliazione, o la sottovalutazione dei migliori cervelli in circolazione (come diceva Allen Ginsberg? Ho visto le migliori menti della mia generazione...). E perché il giovane Sidney Sibilia, già apprezzato regista di cortometraggi, gira una commedia come se fosse un film d’azione, con stile energico, veloce, “pompato”. Come se Tarantino facesse un remake di Monicelli. Il riferimento non è casuale. Smetto quando voglio è l’ennesimo omaggio ai Soliti ignoti. Solo che questi fanno davvero le cose in modo «sc-sc-scientifico», come diceva il balbuziente Gassman in quel capolavoro. Perché sono scienziati, laureati, capoccioni autentici. (...)
Alberto Crespi, l’Unità, 6/2/2014