La mia classe
Regia: Daniele Gaglianone (Italia, 2013) 92’
Scuola secondaria di secondo grado
Roma, quartiere multietnico del Pigneto. In una scuola, un attore interpreta un professore che impartisce lezioni di italiano a una classe di stranieri, anch’essi attori. La loro condizione di extracomunitari, necessita del permesso di soggiorno, unica via per l’integrazione, unica possibilità per trovare lavoro e vivere in Italia. Mondi, culture e storie diverse si incrociano nel microcosmo della classe. Mentre si stanno girando alcune scene, lo “stop” del regista apre a qualcosa di inaspettato: la realtà prende il sopravvento sulla finzione. L´intera compagnia entra in campo; tutti diventano attori di un´unica vera storia, la storia della vita, dove ciascuno è chiamato a distinguere ciò che è recitazione e ciò che è dura realtà.
“Se mi rimandano nel mio paese, io mi faccio morto da solo”. (Issa, uno dei protagonisti de La mia classe)
[...] Bassirou, Mamon, Gregorio, Jessica, Metin, Pedro, Ahmet, Benabdallha, Shadi, Easther, Lyudmyla, Moussa, Issa, Nazim, Mahbobeh, Remzi, i protagonisti del film di Gaglianone, sono tutti dei veri studenti di italiano, coinvolti nella storia di questo insegnante, interpretato e direi vissuto da Valerio Mastandrea, che è entusiasta del suo lavoro quanto restio a parlare di se e a mostrare al mondo i suoi dolori personali. Gode invece a sentire le storie di questi “aspiranti italiani”, con i loro accenti diversi, i loro drammi diversi, mentre le lacrime sembrano così simili...
Ma se oggi fare un film è “un atto di liberazione”, non è più possibile fingere, ma neppure, semplicemente, documentare. L’atto del riprendere è già di per se una finzione (con tutti quei microfoni attaccati ai corpi dei protagonisti), mentre la realtà sembra esplodere dagli occhi pieni di dolore degli allievi della classe. Ed ecco che il film, che è fatto con corpi “veri” e non fantastici replicanti da palcoscenico, a un certo punto, letteralmente, esplode di realtà. Nella finzione scade un permesso di soggiorno, nella realtà (così sembra dal film, Gaglianone non spiega)... pure! Il set diventa un “non luogo”, e lo scarto tra realtà e finzione diventa così sottile che non si può più “fingere”. Ed ecco che le macchine entrano in campo, i fonici, il regista, Mastandrea che si rivolge al tecnico del suono (“Campus!”), il film diventa il backstage di se stesso. [...].
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