La febbre dell’oro
Regia: Charlie Chaplin (USA, 1925) 82’
Scuola primaria, scuola secondaria di primo e di secondo grado
Charlot è nel Klondike sulle tracce del prezioso metallo, ma su di lui hanno più presa gli occhi di una ballerina. Dopo una tempesta di neve Charlot si ritrova in una capanna in bilico sul baratro, in compagnia di un altro corpulento cercatore, iche, affamato, lo scambia per un gigantesco pollo e tenta di divorarlo. Charlot si deve poi accontentare di una scarpa e dei suoi lacci come spaghetti.
[...] Chaplin gioca contemporaneamente sul registro del comico e su quello della precarietà esistenziale (il destino e la sconfitta sempre incombente). Il suo cercatore d’oro, ottimista e disorganizzato, arriva nel Klondike, in Alaska, quando il gold rush è al culmine (1898). La tormenta lo spinge a rifugiarsi nella capanna del bandito Black Larsen nel momento in cui ci arriva anche “Big Jim”. I tre lottano, affamati. Larsen cerca di ammazzarli. Non ci riesce. Lo mandano a cercare rifornimenti. Fuori, Larsen s’imbatte in due poliziotti, li uccide e fugge. [...] The Gold Rush (nove rulli, 2500 metri) fu presentato al Grauman’s Egyptian Theatre il 26 giugno 1925. Il successo fu tra i maggiori della carriera chapliniana. Il personaggio di Charlie è infinitamente triste ma, anche, infantilmente cocciuto e, alla fine, vittorioso. La tristezza sfocia in una comicità struggente (il delirio di “Big Jim”, il sogno con la danza dei panini, la capanna sull’abisso), la cocciutaggine in una ilarità perfida (il ballo e la rissa nel saloon). Insieme convergono nella soddisfatta celebrazione del possesso ottenuto. Con un pizzico di auto‑ironia.
Fernaldo Di Giammatteo, 100 film da salvare, Mondadori, 1978